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Le 3 capacita’ chiave di un buon negoziatore

Le 3 capacita’ chiave di un buon negoziatore

Viene spesso chiesto quali siano le capacità chiave di un buon negoziatore. Sono molte. La capacità negoziale non si esaurisce in una unica competenza, ma è vero che ce ne sono tre fortemente distintive: la capacità d’ascolto, il fare proposte e il non fare concessioni.

Iniziamo dalla capacità d’ascolto. Abbiamo una bocca e due orecchie: una ragione ci deve pur essere. Ascoltare, al contrario del sentire, che è una funzione fisiologica a cui non è collegata alcuna espressione esplicita di volontà, è una capacità potente: implica rinunciare a se stessi e proiettarsi completamente verso gli altri. Mi impongo di tacere, di non interrompere, faccio domande per avere chiarimenti, mi accerto di aver ben compreso chiedendo un feedback al mio interlocutore. In una parola, mi annullo.

Capacità che contrasta con la tendenza al protagonismo che si manifesta prevalentemente nel parlare spesso e volentieri troppo.

Fare proposte è espressione di grande senso di responsabilità. La proposta è un iniziale tentativo di soluzione ai bisogni nostri e a quelli degli altri. Formulare una proposta è lo strumento per iniziare ad elaborare il contenuto del futuro accordo che deve originare piena soddisfazione per tutti.

La proposta è un po’, se vogliamo usare una immagine, la benzina della negoziazione. E’ ciò che permette di uscire da situazioni di stallo, di polemica avvitata su se stessa, di uscire da un dialogo sterile e improduttivo. Un negoziatore lo si riconosce perché non perde tempo in polemiche, cerca di parlare di cose concrete, di fatti, di numeri: in sintesi fa proposte.

La proposta dà potere. Avete mai giocato a bocce? Chi lancia il boccino ha un enorme vantaggio sul gioco, lo conduce e obbliga gli altri a seguirlo nel suo territorio. Lo stesso vale per la proposta. Chi fa la proposta ha il potere nelle sue mani. Se lasciamo che siano gli altri ad agire, chi ci assicura che i nostri bisogni saranno tutelati? A che serve poi recriminare? Con un tasso percentuale alto si tende a non fare proposte ed aspettare che siano gli altri ad avanzarle.

Le motivazioni sono le più diverse, tre molto ricorrenti:

  1. paura di scoprirci facendo la prima mossa;

  2. assenza di obiettivi chiari o di mandati precisi;

  3. è un gesto di responsabilità.

 

Analizziamoli singolarmente.

1) Paura di scoprirsi e di fare la prima mossa

In noi prevale un senso di paura di scoprirsi, che scaturisce dal pensiero secondo cui esplicitare chiaramente ciò che si vuole sia un segno di debolezza. Questa sensazione è piuttosto diffusa ed è figlia di scarsa fiducia, in primis, in questo caso in noi stessi piuttosto che negli altri. Abbiamo condotto un dialogo abbastanza sterile, gli altri non hanno idea neppure dei nostri bisogni, eppure ci attendiamo che ci facciano una proposta. E ci sentiamo magari anche offesi e risentiti, quando, lasciata l’iniziativa agli altri, questi non ci hanno minimamente soddisfatto! Questa paura è spesso genitrice degli alibi che ci costruiamo quando non raggiungiamo un accordo: è colpa degli altri che non ci hanno proposto nulla di interessante.

2) Assenza di obiettivi chiari o di mandati precisi

Questa situazione non è assolutamente infrequente o inverosimile. Spesso, a causa di una preparazione lacunosa, non abbiamo chiaro ciò che vogliamo, soprattutto il nostro punto d’uscita. La situazione si aggrava se agiamo per effetto di un mandato i cui contorni non ci sono chiari. Ciò ovviamente frena in maniera significativa la nostra propositività.

3) Fare la proposta è un gesto di responsabilità

Prendere l’iniziativa e fare la proposta è un atteggiamento che testimonia preparazione, chiarezza d’azione e visione strategica della gestione del ruolo: è un chiaro indice di assunzione di responsabilità.

Sappiamo che cosa vogliamo, ci siamo preparati, agiamo consapevolmente per ottenerlo.

Proporre significa prendere una posizione e tracciare un percorso.

Da vittima a protagonista: questa potrebbe essere un’utile rilettura del ruolo della proposta.

Veniamo alla terza e ultima ma fondamentale capacità di un buon negoziatore: non fare concessioni. Il negoziatore capace è flessibile per definizione, ma sa anche come valorizzare quanto dà agli altri. “Se tu…allora io”: ti do volentieri ma in cambio ti chiedo qualcosa perché solo così ti farò apprezzare quanto ti ho dato. Chi riceve “gratis” sarà portato a pensare che quanto ha ricevuto non abbia valore, non essendo “costato” nulla, non sarà appagato e magari chiederà anche di più.

Concedere tout court è un gesto di fiducia nella naturale riconoscenza del prossimo. Legittimo ma ci espone a un rischio: che tale riconoscenza non venga espressa né a parole né con i fatti. Allora, se vogliamo tutelarci da questo rischio l’unico modo è di chiedere qualche cosa in contropartita.

La negoziazione si fonda essenzialmente su una dinamica di scambio: ti do qualcosa in cambio di qualcosa d’altro che per te abbia valore, e per me poco o assenza di costo, e viceversa.

Ecco tre capacità che non possono mancare in un negoziatore efficace, l’ascolto, la propositività e il non fare concessioni, fermo restando che la capacità negoziale è molto ricca e articolata, e ogni selezione rischia necessariamente di non essere esaustiva. 

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Giovedì, 07 Aprile 2016. Postato in Soft Skill, Risorse umane, Negoziazione

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