Io non odio il mio capo. È grave, dottore?
Quando durante una conversazione informale qualcuno parla di un proprio superiore, quasi sempre lo fa per criticarne le metodologie, metterne in dubbio le capacità professionali o le qualità personali. Di rado mi è capitato di parlare con qualcuno che valutasse positivamente il proprio capo, che ne comprendesse alcune decisioni impopolari o che si mettesse nei suoi panni per capire il perché di alcune scelte all’apparenza discutibili.
Senza voler prendere a tutti i costi le parti di chi siede più in alto, penso che il segreto sia prima di tutto imparare a rapportarsi con le persone in quanto tali, e non come dipendenti. Per gestire le persone di un’organizzazione prima di tutto è fondamentale conoscerle; sembra banale, ma non lo è se proviamo a vedere cosa succede davvero in molte aziende. Certo in imprese medio-grandi non è semplice conoscere tutti uno ad uno, la retribuzione, le competenze o le esigenze formative di 400 persone. Ma nelle organizzazioni più piccole? Il problema è identico, ma per cause differenti. In un’azienda composta da pochi collaboratori spesso tutti si occupano di tutto, ma vi sono iniziative di cui nessuno si fa carico. La conclusione è che il management non sa davvero a chi rivolgersi per avere determinate informazioni o per migliorare alcuni processi.
Quindi, cosa puoi fare affinché tutti i parametri che fanno funzionare un team siano rispettati?
È una strada difficile, che comincia da una comunicazione tra pari, passando per identificazione e gestione del talento, flessibilità e propensione all’innovazione, fino al coraggio di accettare nuove sfide. Questo consente ad un team di rinnovarsi continuamente, sviluppando le proprie competenze. Per farlo è necessario osservare: all’esterno, le prassi di competitor e partner, ma anche e soprattutto all’interno dell’organizzazione; innovazione per fare di più a beneficio del proprio capitale umano. Non si tratta per forza di un aumento di stipendio, ma di comprensione delle esigenze (personali, professionali, formative…) di ciascuno.
Tutto questo è preparatorio per una tipologia organizzativa in cui le risorse umane siano tra i primi fautori della cultura corporativa, veri e propri leader capaci di condurre in modo efficace la crescita dell’organizzazione.
Il terreno della comunicazione tra colleghi, o tra dipendenti e management, è irto di ostacoli, ma fonte di grandi risultati se ben coltivato. Per questo il team HR deve lavorare per istaurare tra manager e collaboratori relazioni fluide e dirette, anche fornendo gli strumenti più utili per farlo. Solo in questo modo sarà possibile modificare la visione che i collaboratori hanno dell’impresa, in favore di un’impostazione più partecipata.
E come fare per creare squadre in cui il talento si senta giustamente valorizzato? Dal nostro punto di vista il segreto è creare team eterogenei, in cui valorizzare ogni diversità e far sì che queste alimentino la creatività di ciascuno.
Ma stavamo parlando di capi d’azienda ben voluti, cosa ha a che fare con tutto questo? Ciascun dirigente può avere le idee migliori del mondo, ma non sarà in grado di metterle in pratica senza il sostegno di tutto il team. E da dove pensate che derivino le grandi idee di sviluppo se non proprio da una collaborazione efficace di tutti i componenti dell’azienda?