A cura dell’Avv. Gianluca Meterangelo del Foro di Milano
Molte imprese ormai scelgono di esternalizzare il deposito delle proprie merci in magazzini di proprietà di terzi, avvalendosi della collaborazione di altri imprenditori per lo stoccaggio, la movimentazione, la gestione nonché per la custodia delle proprie merci ai sensi dell’art. 1766 c.c. e seguenti.
La norma in esame disciplina il “deposito”, disponendo che è tale ogni contratto con cui una parte riceve dall’altra una determinata cosa mobile, con l’obbligo di custodirla e di restituirla.
Nel contratto di deposito, quindi, troviamo un imprenditore che corre tutti i rischi patrimoniali connessi con l’esercizio di un’impresa, la quale assume il preciso obbligo di custodire le merci oggetto del deposito con la diligenza del buon padre di famiglia, per poi restituirli.
E’ importante, pertanto, delineare la rilevanza della diligenza richiesta dalla legge, necessaria per valutare la responsabilità del depositario con riferimento agli eventi che, nel corso dell’esecuzione del contratto, gli impediscano di restituire la merce custodita al depositante.
Il depositario, infatti, è tenuto a dotare la propria impresa di un’organizzazione affidabile in relazione ai rischi connessi alla propria attività (per esempio, il furto), attrezzandosi di idonee misure di vigilanza, volte a prevenire il verificarsi di eventi dannosi.
Il depositario, quindi, deve porre in essere un’attività conservativa che abbia rilevanza:
- all’interno dell’attività imprenditoriale: verifiche e controlli periodici della buona conservazione della merce e dell’idoneità del locale alla conservazione della stessa, avendo l’obbligo di avvisare tempestivamente il depositante nel caso in cui la merce corra il rischio di perire;
- all’esterno dell’attività imprenditoriale: attivazione di cautele e strumenti volti ad evitare che fattori esterni possano incidere sull’esistenza e sulla consistenza della merce, predisponendo tutti i mezzi necessari ad evitare il verificarsi di eventi che mettano ragionevolmente a rischio la merce stessa, anche mediante la valutazione delle probabilità.
Da questa attività emerge la conseguente responsabilità del depositario, il quale, al fine di liberarsi dell’obbligo di risarcire il danno al depositante, deve fornire la prova che l’evento si sia verificato per cause indipendenti dalla propria sfera organizzativa.
A tal fine, il depositario deve:
- custodire la merce con l’adeguata diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata, ovvero adottando ogni misura necessaria a garantire la restituzione della merce al depositante;
- provare che l’evento dannoso non sia occorso per una causa a lui imputabile, tra le quali non rientrano il caso fortuito o la causa di forza maggiore, ma solamente eventi imprevedibili ed inevitabili , anche mediante l’uso della diligenza necessaria.
La responsabilità del depositario, quindi, sussiste ogni volta in cui lo stesso non abbia adottato tutte le precauzioni che l’ordinaria diligenza suggerisce secondo le circostanze dei singoli casi: per esempio, nel caso in cui non sia stato adottato alcun servizio di vigilanza in un deposito privo di antifurto e videosorveglianza, nel quale si sono verificati diversi furti, sussiste indubbiamente la sua responsabilità.
La mancata restituzione della merce comporta l’obbligo del depositario di risarcire il danno, in modo da porre il depositante nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se la restituzione fosse avvenuta.
Pertanto, la quantificazione del danno viene effettuata sulla base del valore delle merci non restituite, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi.
Tali principi e criteri di valutazione volti a verificare la sussistenza della responsabilità del depositario per i danni cagionati sono confermati da diversi anni dalla Suprema Corte di Cassazione.
Tra i vari casi, con la sentenza n. 26353/2013 la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso presentato dal depositante al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per due furti verificatisi presso due punti vendita mediante il prelievo dalla cassaforte (cassa continua) dell’incasso giornaliero.
Secondo quanto pattuito, il denaro veniva immesso nelle casseforti, dotate di chiavi e di combinazioni custodite unicamente dal depositario, per poi essere successivamente trasportato presso l’istituto di credito del depositante.
Nella valutazione della responsabilità gravante sul depositario, i giudici di legittimità confermavano i consolidati criteri sopra citati:
- con il contratto di deposito, il depositario assume l’obbligazione di custodire non solo del denaro, ma anche le chiavi e le combinazioni delle casseforti. Infatti, la consegna delle chiavi e delle combinazioni al depositario fa sorgere in capo allo stesso l’obbligo della custodia, in quanto le chiavi costituiscono il mezzo con cui si concretizza la consegna del denaro;
- la diligenza che il depositario è tenuto a prestare è sempre quella del buon padre di famiglia sulla base delle concrete modalità di custodia adottate con riferimento alla natura dell’attività esercitata dallo stesso, alla qualità della merce data in custodia ed alle specifiche circostanze;
- per ottenere la liberazione, il depositario è tenuto a fornire la prova che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile;
- la prova liberatoria verte sul fatto che non ha causato l’evento;
- la prova sulla diligenza rileva, invece, sotto il profilo dell’evitabilità del fatto mediante lo sforzo diligente esigibile secondo il modello del buon padre di famiglia.
Il depositario non si libera della responsabilità provando semplicemente di avere usato nella custodia della merce la diligenza del buon padre di famiglia, ma deve anche provare chel’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile .
Le cause di non imputabilità vanno individuate in base alla valutazione della diligenza usata dal depositario nell’adempimento della prestazione di custodia: in proposito la giurisprudenza richiama i concetti di inevitabilità (del verificarsi dell’evento dannoso) ed adeguatezza (dei mezzi utilizzati per la custodia).
La responsabilità, di conseguenza, viene affermata nei casi in cui il depositario non dimostra di avere adottato tutte le misure di protezione richieste dal singolo caso con valutazione delle circostanze concrete.
Tra i fatti non imputabili rientrano quelli che risultano evitabili solo con costi umani o economici talmente elevati da non poter essere richiesti ad un depositario che sia tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia.
Alla luce dei criteri sopra illustrati, quindi, è opportuno inserire nel contratto di deposito delle clausole specifiche, volte a ridurre le perdite derivanti dalla mancata restituzione della merce e, contemporaneamente, a definire la responsabilità del depositario, come per esempio:
- clausole relative alla buona conservazione delle merci indipendentemente dalla volontà del depositario;
- clausole relative alle cautele adottate dal depositario nei locali usati per la custodia delle merci, come i servizi di vigilanza, gli impianti di allarme e di videosorveglianza;
- clausole relative alla copertura assicurativa contro tutti i rischi (furto, incendio, eventi atmosferici, etc. etc.), con l’indicazione del massimale e delle eventuali franchigie;
- clausole relative all’obbligo di avvisare immediatamente il depositante e la Compagnia Assicurativa in caso di perimento della merce, per limitare il verificarsi di ulteriori danni;
- clausole relative al pagamento del risarcimento a carico del depositario in tutti i casi in cui le polizze assicurative non coprano i danni cagionati oppure li coprano solo parzialmente, considerando anche l’eventuale franchigia;
- clausole relative all’obbligo di comunicare immediatamente al depositante eventualiprovvedimenti giudiziari che possano compromettere la disponibilità della merce che si trovi nella disponibilità del depositario.
Con questa panoramica generale sui contratti di deposito, si confida che il lettore possa trovare spunto per implementare i propri modelli contrattuali, personalizzandoli per le singole esigenze.