La comunicazione efficace è uno dei temi che ha ricevuto moltissime attenzioni in ambito professionale; sono molti i training formativi sull’argomento, oggi diffusi a tutta la popolazione aziendale per sensibilizzarla su di un tema cardine del modo di vivere dentro e fuori l’organizzazione.
Molta enfasi è data ai nuovi incredibili strumenti di comunicazione e collaborazione che oggi ciascuno di noi ha a disposizione nella propria vita privata e professionale.
In effetti, la maggior parte della nostra comunicazione professionale avviene ormai per mezzo di una tecnologia informatica hardware e software.
Se da una parte non c’è dubbio che attraverso le nuove tecnologie si sono enormemente ampliate le opportunità di comunicazione, pressoché azzerati i limiti del tempo e della distanza, è altrettanto constatabile che la proliferazione dei messaggi e delle fonti crea un rilevantissimo problema nella gestione dell’attenzione e dello stress.
Spesso mi si fa notare che la quantità, la proliferazione dei canali e delle le forme differenti di comunicazione sono elementi difficilmente eliminabili dallo scenario attuale.
Tuttavia, qualsiasi riflessione sull’argomento non può prescindere da una semplice domanda che ciascuno di noi, almeno una volta, si è posto: ma oggi si comunica meglio o peggio rispetto a quando non si utilizzavano mezzi a bassa o assente tecnologia?
Proverò a rispondere a questa domanda con il risultato di una ricerca ed un aforisma:
Proprio questo mese di febbraio sono apparse le conclusioni di una interessante ricerca: parlare velocemente non significa dire di più. È quanto emerge dai risultati di uno studio condotto da Uriel Cohen Priva, professore del dipartimento di Scienze cognitive, linguistiche e psicologiche della prestigiosa Brown University.
La quantità della comunicazione non è correlata con la qualità del messaggio; per esempio: se analizziamo la quantità di mail che riceviamo quotidianamente è facile constatare come le informazioni realmente rilevanti siamo poche e spesso sono nascoste da una montagna di discussioni ed informazioni inutili.
Un aforisma fra tutti ci guida verso una risposta: “Il maggior problema della comunicazione è l’illusione che sia avvenuta” George Bernard Shaw. In effetti, da sempre dietro alla comunicazione c’è una illusione fondamentale, l’illusione di essere compresi.
Anche nella sua forma più semplice, due persone che parlano fra loro, la comunicazione presenta questo elemento di “finzione” consapevole o inconsapevole: le parole sono dei correlati sensoriali ed emozionali, sono dei significanti e non dei significati. Per esempio, “un’esperienza indimenticabile” può voler dire un sacco di cose, che spesso sono differenti per chi pronuncia la frase e chi la ascolta o la legge.
Questa “finzione” ci accompagna nelle nostre relazioni, non fanno eccezione quelle lavorative; esempio: qui abbiamo creato una gerarchia, dei ruoli e delle responsabilità per facilitare e governare il passaggio di informazioni, ma sappiamo che non bastano queste strutture per garantire che ciò che affermiamo o chiediamo venga interpretato correttamente.
Le nuove tecnologie generano più quantità ed amplificano l’illusione di essere capiti e di capire.
I social network, soprattutto, hanno algoritmi pensati per creare una “bolla” intorno ai propri interessi ed alle proprie opinioni dando l’illusione di essere capiti e riconosciti. Si condividono faccine, likes, e selfies che sembrano confermare che “fai parte di” o “che sei visto da”, tuttavia ciò che attira l’attenzione è solo una visione parziale e distorta della tua esperienza (es. la fotografia di un piatto al ristorante non racconta della reale esperienza nel mangiare quel piatto in quel momento)
Le comunicazioni in azienda sono sempre più ricche di particolari, multimedialità ed interazione; questa è una opportunità solo se ci aiuta a raccontare realmente ciò che desideriamo e pensiamo e soprattutto quando raggiunge l’attenzione di chi ascolta veramente, piuttosto che essere distratto con troppe informazioni che arrivano in parallelo alla nostra.
La tecnologia ci sta offrendo nuovi modi di collaborare, di comunicare e condividere, ma ci richiede sempre più competenza ed attenzione per utilizzarla efficacemente.
Nella mia esperienza di consulente la maggior parte delle aziende in cui sono stato, hanno seri problemi con la comunicazione: troppa, ridondante, scorretta e difficile da gestire.
Quindi, la mia risposta è che comunichiamo peggio di un tempo, perché comuniamo troppo, in maniera complicata e senza prestarci la necessaria attenzione nel comunicare ed ascoltare.
Non è un caso che proprio nelle aziende a maggior tasso di innovazione tecnologica, si torna alle modalità di comunicazione vis-a-vis, agli stand-up meeting ed alle tecniche più semplici ed immediate di condivisione delle informazioni (visual thinking, canvas, kanban, ecc.).
Per imprimere una reale inversione di tendenza a questo progressivo peggioramento nella nostra comunicazione, a mio parere, è necessario:
- eliminare il superfluo
- concentrarsi sull’essenziale
- usare strumenti e canali semplici da maneggiare e fruire.