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Privacy del lavoratore tra diritti, obblighi e responsabilità

Privacy del lavoratore tra diritti, obblighi e responsabilità

Scritto da Avv. Patrizia D’Ercole

“Storicamente, l’Italia è un Paese nel quale la “riservatezza” è un concetto piuttosto sfumato ed ambiguo, i cui confini sono più o meno estesi a seconda non solo del contesto in cui si inserisce, ma anche dell’ambito territoriale”.

È indubbio, infatti, che tanto la privacy è cara al mondo anglosassone dove è nata quale diritto di restare soli (“right to be alone”), quanto è guardata con diffidenza e scetticismo qui da noi.

Tale dato, che si ricava anzitutto dalla comune osservazione, è vero soprattutto nel mondo del lavoro, in cui la privacy del dipendente, da un lato, è sicuramente uno dei più importanti baluardi delle libertà e dei diritti dell’individuo costituzionalmente garantiti, ma, dall’altro lato, è spesso necessaria in quanto consente controlli non di rado indispensabili per il datore di lavoro per avere conferma della correttezza e fedeltà del comportamento dei propri dipendenti.

Sotto il primo profilo, il diritto alla privacy è stato declinato dalla Legge n. 300/1970 (comunemente, “Statuto dei Lavoratori”) sotto vari aspetti: dal divieto per il datore di lavoro di invadere la sfera privata dei dipendenti disponendo unilateralmente visite personali di controllo (art. 6) o indagando sulle loro opinioni su fatti non rilevanti ai fini del rapporto di lavoro (art. 8), sino alla proibizione di controllarne l’attività lavorativa se non a fronte di determinate garanzie ed entro specifici limiti (artt. 4 e 5), sul presupposto che quello che il lavoratore mette a disposizione è il proprio impegno, senza alcuna garanzia del risultato.

Sotto altro profilo, questa impostazione si è andata sempre più scontrando con un mondo in rapidissima evoluzione e con l’impatto che le innovazioni tecnologiche hanno avuto sia sulla dialettica tra datore di lavoro e lavoratore (si pensi, ad esempio, alle grandi realtà multinazionali) sia sull’organizzazione dell’azienda, sempre più tecnologizzata.

Pertanto, da lungo tempo gli operatori del mercato e del diritto hanno iniziato a chiedere al legislatore di voler adeguare un modello per alcuni versi desueto quale quello del 1970 alla nuova realtà, seppur nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali del lavoratore.

In questo senso ha spinto anche la legislazione comunitaria che, con le strategie di Europa 2020 ha riconosciuto la centralità della tecnologia ai fini dell’innovazione; con l’art. 8 della Carta dei Diritti Fondamentali Europei ha ribadito il diritto alla privacy ma non in termini di un diritto assoluto; e, da ultimo, con la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 1° aprile 2015 in materia di trattamento dei dati personali in ambito lavorativo ha tracciato specifiche linee guida da seguire per raccordare il diritto alla riservatezza del lavoratore con l’impiego da parte del datore di lavoro nelle nuove tecnologie nel ciclo produttivo.

Tutte queste istanze sembrano essere state recepite nella riforma di una delle disposizioni che più di tutte aveva ingenerato dubbi e conflitti - spesso risolti a livello giurisprudenziale con decisioni tra loro discordanti o basate su soluzioni “fantasiose” - ossia la norma di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori in tema di controlli a distanza.

La Legge Delega n. 184/2013, meglio conosciuta come Jobs Act¸ ha infatti previsto la necessità di modificare l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori in modo da tener conto dell’evoluzione tecnologica registrata nel corso degli ultimi 45 anni circa e, in particolare, dell’adozione da parte del datore di lavoro di strumenti lavorativi che consentono, seppur in forma indiretta, il controllo da remoto (nel tempo e/o nello spazio) della prestazione lavorativa.

La Legge Delega ha trovato attuazione dopo un’estate di polemiche che ha coinvolto il mondo politico, quello sindacale ed il Garante per la protezione dei dati personali.

In particolare, all’esito di questo confronto, che ha lasciato grandemente scontento il sindacato e accontentato – secondo alcuni commentatori – solo parzialmente il Garante della privacy, è stato emanato l’art. 23 del D.Lgs. n. 151/2015, entrato in vigore il 24 settembre scorso.

Tale norma – che, sempre secondo alcuni commentatori, è andata anche oltre i limiti della Legge Delega – ha modificato l’art. 4 stabilendo i seguenti principi, recepiti dalle istanze del mondo industriale e coniugate con quelle dell posizioni più garantiste:

  1. l’osservazione che “gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti di registrazione delle presenze” non costituiscono mezzi di controllo a distanza dell’attività lavorativa in quanto e nei limiti in cui essi sono funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa;
  2. l’utilizzabilità “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” e, quindi, anche per quelli disciplinari, dei dati raccolti tramite tali strumenti;
  3. la necessità, quale conditio sine qua non per l’utilizzabilità dei dati in questione, che tale utilizzo avvenga nel rispetto dei principi stabiliti dal D.Lgs. n. 196/2003 (il Codice della Privacy) e dal Garante della privacy (prime fra tutte le Linee Guida per la posta elettronica ed Internet del 1° marzo 2007 e quelle in materia di trattamento dei dati personali dei dipendenti privati del 23 novembre 2006), affinché la raccolta ed il trattamento dei dati dei dipendenti avvenga nei limiti in cui è realmente funzionale all’espletamento dell’attività lavorativa e nella massima trasparenza;
  4. la possibilità di installare impianti audiovisivi e apparecchiature dai quali derivi anche la possibilità di un controllo a distanza previo accordo sindacale o, in mancanza di rappresentanze aziendali, previa autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente non solo nei casi delle specifiche “esigenze organizzative e produttive” indicate dal “vecchio” art. 4, ma altresì per le finalità di “sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”;
  5. la semplificazione delle procedure di consultazione sindacale o di autorizzazione amministrativa, principalmente al fine di evitare che aziende con unità produttive ubicate in diversi territori finissero per dover gestire situazioni analoghe in modi diametralmente opposti a seconda del sindacato o della Direzione Territoriale del Lavoro con cui si dovevano confrontare, come spesso avvenuto.

Ciò detto, a parere di chi scrive, il nuovo quadro di riferimento non conferisce al datore di lavoro il diritto assoluto di controllare i propri dipendenti, come obiettato da alcuni, ma gli consente una migliore gestione della propria organizzazione nella misura in cui non solo rispetta i dettami di legge, ma ne rende consapevole il lavoratore.

In altri termini, l’innovazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori passa necessariamente attraverso un nuovo modo di impostare il confronto tra datore di lavoro e lavoratore, imponendo al primo di effettuare una mappatura completa degli strumenti di lavoro, di predisporre regolamenti chiari e precisi sulle relative modalità di utilizzo e sulle conseguenze derivanti dalla loro inosservanza, nonché di informare in maniera esaustiva e trasparente il dipendente, ed al secondo di farsi parte diligente nella corretta gestione degli strumenti messi a sua disposizione per lo svolgimento della prestazione lavorativa, nella piena consapevolezza dei suoi obblighi così come dei suoi diritti.

Solo entrando in questa logica di maggiore responsabilizzazione e consapevolezza per tutti i soggetti coinvolti la riforma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori darà i suoi frutti; al contrario, ove ciò non avvenga, si potrebbe finire nel pantano dei formalismi, sprecando così un’importante occasione di crescita.

Non ci resta quindi che attendere le prime pronunce giurisprudenziali e le risposte della prassi del mondo del lavoro per scoprire questa (per la prima volta esplicitata) interdipendenza tra diritto del lavoro e diritto della privacy possa realmente essere la chiave di volta per l’equo bilanciamento tra il diritto costituzionale del lavoratore alla riservatezza e quello del datore di lavoro, parimenti degno di tutela, di organizzare al meglio la propria impresa.

Noi attendiamo fiduciosi...

Avv. Patrizia D’Ercole
Studio Legale Dramis Ammirati e Associati
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Lunedì, 25 Gennaio 2016. Postato in Gestione Aziendale, Hard Skill, Risorse umane

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