La responsabilità solidale negli appalti: una storia infinita
Articolo scritto da Avv. Patrizia D’Ercole
È di neanche un mese fa la notizia che la Consulta ha ritenuto ammissibile il referendum avente ad oggetto la parziale abrogazione dell’art. 29 della Legge Biagi che disciplina la responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatore in materia di appalti.
In particolare, il quesito referendario recita: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30″, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori?”
Il voto è previsto in primavera.
Quella in oggetto è, a ben vedere, l’ennesima revisione di una norma che, nel corso dei suoi quasi quattordici anni di vita, è stata oggetto di moltissimi rimaneggiamenti, nella continua tensione tra due opposte posizioni: una prima, volta a stabilire una pressoché assoluta equiparazione tra tutti gli attori dell’appalto (committente, appaltatore e subappaltatore), a tutela dei diritti dei lavoratori impiegati nell’appalto; una seconda, orientata a cercare un contemperamento tra gli opposti interessi, mitigando quella che, nei fatti, si è trasformata in una vera e propria forma di responsabilità oggettiva per il committente.
In effetti, l’art. 29, nella sua formulazione originaria, prevedeva una responsabilità solidale del committente limitata sotto i profili oggettivo (crediti di natura retributiva e contributiva), soggettivo (riferito ai soli lavoratori dell’appaltatore) e temporale (un anno dalla cessazione dell’appaltato), in un’ottica di equo bilanciamento di opposti interessi, dei lavoratori da un lato e dei committenti dall’altro.
Successivamente, la posizione più garantista ha comportato un’estensione dei limiti soggettivi e temporali sopra indicati, includendo anche i lavoratori del subappaltatore ed estendendo a due anni dalla cessazione dell’appalto il vincolo di solidarietà, nonché continui rimaneggiamenti dei limiti oggettivi, con la precisazione dell’estensione della responsabilità alle quote di TFR maturate in coincidenza della durata dell’appalto e con inclusione anche della responsabilità per i crediti IVA e per quelli fiscali.
Al contempo, l’orientamento maggiormente moderato ha cercato di mitigare queste soluzioni, che esponevano il committente finale e gli appaltatori più virtuosi a rischi eccessivi anche rispetto ad una configurazione della fattispecie come forma di culpa in eligendo (ossia una responsabilità legata alla scelta disaccorta del proprio appaltatore o subappaltatore), eliminando pressoché nell’arco di una sola stagione la responsabilità per l’omesso versamento dei crediti IVA e delle ritenute fiscali ed escludendo una qualsiasi forma di solidarietà per il pagamento delle sanzioni connesse alle omissioni contributive.
Da ultimo, sempre tale orientamento più “liberale” ha portato alle modifiche legislative che sono oggetto del quesito del referendum abrogativo.
In particolare, la “famigerata” Riforma Fornero del 2012 ha inserito una possibilità di deroga al regime di responsabilità solidale da parte della contrattazione collettiva sul piano nazionale: questa previsione, ispirata a garantire una maggiore autonomia agli operatori di determinati settori in cui il ricorso all’appalto costituisce la normale quotidianità (logistica, pulizie, mense, e così di seguito), peraltro, è rimasta nei fatti lettera morta per la strenua opposizione di alcuni.
Sotto il profilo processuale, poi, la Legge del 2012 ha inserito l’obbligo per il lavoratore di convenire sia il committente che l’appaltatore (o il subappaltatore) datore di lavoro nell’eventuale giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento dei propri crediti, e ciò in modo da forzare l’interessamento di quest’ultimo e, in qualche modo, di consentire al committente (o all’appaltatore nel caso del subappalto) di prendere una posizione sui fatti inerenti il concreto svolgimento dei rapporti di lavoro, cui lo stesso è in linea di principio totalmente estraneo: anche questa previsione, tuttavia, ha mostrato non poche contraddizioni ed insufficienze, se si considera che la contumacia degli appaltatori (e dei subappaltatori) non ha alcuna ricaduta negativa su di loro e che, quand’anche gli appaltatori (o i subappaltatori) intervengono, essi spiegano una difesa spesso poco più che formale, avendo tutto sommato interesse a far sì che le proprie eventuali omissioni ricadano sul committente.
Per risolvere tale ulteriore distorsione si è allora introdotto il c.d. beneficio di preventiva escussione che oggi si chiede di abrogare dal testo normativo, ossia la necessità per il lavoratore che abbia visto riconosciuto in sede giudiziale il proprio credito di tentare prima l’escussione dal proprio datore di lavoro e solo laddove questa si sia rivelata infruttuosa di rivolgersi al committente: anche questa previsione è risultata di infelice formulazione, da un lato, in quanto non è chiaro fino a che punto il lavoratore debba arrivare per dimostrare l’infruttuosità del tentativo e, dall’altro lato, perché non ha risolto le situazioni più comuni, ossia i casi in cui l’appaltatore (o il subappaltatore) datore di lavoro siano in liquidazione volontaria, cessino l’attività o, più semplicemente, scompaiano.
Ci si chiede, quindi, se la riforma oggi invocata abbia realmente una portata pratica o sia piuttosto frutto di un make up politico.
Quel che è certo è che il referendum si inserisce in un più ampio quadro di rilettura dell’istituto dell’appalto, lo stesso che ha condotto alla modifica della normativa in materia di cambio appalto di cui abbiamo già parlato.
Tale approccio, se da un lato ha il pregevole intento di estendere quanto più possibile le tutele del lavoratore, dall’altro lato, può non sortire realmente l’effetto sperato ed, anzi, contribuire ad un irrigidimento del mercato degli appalti, già in sofferenza per la situazione economica generale, con tutte le immaginabili conseguenze anche sotto il profilo occupazionale.
Articolo scritto da Avv. Patrizia D’Ercole - Studio Legale Dramis Ammirati e Associati