Una risorsa a costo zero: l’errore
La nostra cultura tende a stigmatizzare, reprimere e punire l’errore: ci soccorre l’etimo “ errare ” per ricordarci le conseguenze stesse della violazione della regola da parte di un membro della comunità, attraverso la condanna all’esilio, al viaggio e all’uscita di scena.
Il tema è vastissimo: getteremo il sasso, come sempre confidando che le onde, con il contributo di altri, propaghino in tante direzioni. E quindi senza alcuna pretesa di esaustività.
In generale la tematica dell’errore tocca tantissimi ambiti, tuttavia rispetto alla nostra esperienza quotidiana e in particolare le ore spese in aula, noi avvertiamo spesso una sorta di profondo fastidio per non dire disagio delle persone di fronte alla scoperta della propria imperfezione, che si manifesta attraverso appunto la commissione dell’errore.
L’errore è il distacco dalla regola, è il “ non essere come gli altri ci vogliono ”, è segno tangibile che non siamo stati capaci a fare qualcosa: insomma la prova della nostra imperfezione.
Ed ecco la corsa a negarlo, giustificarlo o, se ancora in tempo, a nasconderlo.
Risuonano alle nostre orecchie quasi falsamente consolatori, e adatti solo al mondo infantile, i richiami della saggezza popolare che trovano espressione nei proverbi come “ sbagliando si impara ” : noi adulti no, non possiamo sbagliare.
Eppure come scriveva Paolo di Stefano in un articolo dedicato all’errore apparso tempo fa sul Corriere della Sera “ raggiungere gli obiettivi senza mai inciampare è quasi innaturale, al punto da farci credere onnipotenti e da precipitarci nella depressione alla prima scivolata ”.
Un cosa è l’errore, un’altra l’orrore e di certo perseverare è diabolico, ma la prima causa della coazione alla ripetizione dell’errore è nel suo mancato riconoscimento, di fronte a sé stessi e agli altri.
Insomma un cane che si morde la coda.
“ Sta di fatto – prosegue Di Stefano – che l’errore aiuta a crescere, specie se è figlio della curiosità, cioè della voglia di conoscere, quella di Ulisse. Perché non si può negare che spesso le grandi imprese, come si diceva, sono figlie di una svista, di una distrazione. In fondo, Dante apre la Commedia con questa ammissione. Se avesse proseguito sulla «diritta via», niente visione celeste per lui, e niente capolavoro per noi ”.
L’impatto della paura dell’errore nelle organizzazioni è devastante.
In un articolo apparso sull’Harvard Business Review, è messo in evidenza come “ la maggior parte delle persone, anche nelle aziende di maggior successo, spreca considerevole energia ogni giorno per fare un secondo lavoro per il quale nessuno l’ha assunta: preservare la propria reputazione, mettere il meglio di sé davanti a tutti, e nascondere inadeguatezze agli altri e a se stessi ”.
Rispetto all’errore si devono fare tre passi in questa necessaria successione:
- riconoscerlo, accettarlo e trasformarlo.
Riconoscere un errore passa attraverso la consapevolezza e l’ammissione.
Per essere consapevoli ci sono solo due strade: o hai la fortuna di ricevere e l’intelligenza di accettare un feedback oppure hai piena coscienza di ciò che fai e di come lo fai, attento non al che cosa, ma al come.
Si dovrebbe istituire la prassi nella redazione dei cv di inserire gli errori commessi: chi ci assume saprebbe che riflettiamo, che probabilmente abbiamo acquisito del know how e che non lo ripeteremo nella nuova azienda, non male no?
Ammettere di aver sbagliato significa accettare la propria vulnerabilità, che non ci fa venire meno il diritto di essere amati, e dire “ Ho commesso un errore e me ne assumo la responsabilità; avrei preferito non farlo, ma tant’è, ora voglio capire come evitarlo in futuro e quale insegnamento trarne ”.
Atteggiamento che solleva, suscita empatia e motiva alla condivisione.
Per farlo si potrebbe anche istituire la buona prassi di riunioni aziendali, nessuno escluso, mirate alla condivisione di bad practise , come forma di sostegno e network manageriale interno.
In ultimo trasformarlo in una risorsa: io capo quando un collaboratore sbaglia ricevo una informazione, una richiesta di aiuto.
Non mi farà piacere l’errore è evidente, ma sono lì per dire “ Ok avrei preferito che lo avessi evitato, ma tant’è: cerchiamo di capire che origine ha, come porvi rimedio e che lezione apprendere ”.
Jack Welch, storico Ceo della General Electric intervistato su come fosse diventato un manager tanto capace rispose “ Prendendo le giuste decisioni ”; alla replica del giornalista su come avesse fatto quindi a imparare a prendere le decisioni giuste disse lapidario “ Prendendone di sbagliate ”.
Una lezione preziosa.