Il valore salvifico del dubbio
Ampia e rinnova le prospettive di partenza, crea opportunità. Eppure nelle trattative è simbolo di debolezza.
Nel 2002, in un discorso rivolto agli studenti del Pontificio Istituto Biblico, il Cardinale Martini ricordava così l’esperienza della “Cattedra dei non credenti”: «… non è di per sé un’iniziativa biblica, ma nasce dalla Scrittura. “Dice l’empio: non c’è Dio”, dunque ascoltiamo l’empio. Cioè chiamiamo in cattedra i non credenti a spiegarci perché non credono. Poi non facciamo con loro un dibattito apologetico o una conferenza, cerchiamo di ascoltarci. Con la percezione che c’è in ciascuno di noi, una duplice personalità: un credente e un non credente che continuamente fa obiezioni, pone domande, problemi».
Il valore del dubbio, del sapere di non sapere, della temporaneità della verità, salvifico strumento di crescita dell’individuo e dell’umanità stessa, ha grandi testimoni nella storia del pensiero. L’insegnamento socratico di alimentare il dubbio per dimostrare la fallace credenza nella verità dei sofisti è stato forse il primo mattone nella storia del pensiero occidentale, poggiato per costruire il valore del dubbio come viatico di approfondimento, di scoperta e di superamento di limiti concettuali.
Nel fare manageriale e soprattutto nella pratica negoziale, il dubbio è salvifico per tre ragioni:
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genera empatia
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ampia e rinnova le prospettive di partenza
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crea opportunità
Eppure il dubbio è ben poco esercitato nelle trattative negoziali.
La riprova più evidente e la conseguenza più eclatante di quanto poco spazio trovi il dubbio è nella difficoltà a produrre domande: ipotizzare un quesito richiede come presupposto l’allenamento al dubbio.
E questa attitudine a esercitare il dubbio non si improvvisa: va formato fino dai tempi della scuola.
Il dubbio è antitetico alla polemica, alla critica sterile, all’ apologia: il dubbio è espressione di genuina curiosità e consapevolezza della propria non conoscenza. Sovverte convinzioni e sommarie condanne.
In un famosissimo film “La parola ai giurati” girato nel 1957 dal grande regista Sidney Lumet, uno dei giurati, convinti all’unanimità della colpevolezza dell’imputato, inizia attraverso un mero processo socratico fondato sulla domanda a invertire le visione degli altri membri della giuria fino a ribaltarne il giudizio inziale e a portare all’assoluzione dell’imputato.
Letto invece come disvalore nella nostra cultura, figlia a tratti ancora probabilmente dell’approccio tolemaico, il dubbio mette paura, lo si rifugge come sinonimo di indecisione, di impreparazione e quindi, di debolezza.
Ci educano a stigmatizzarlo, ma alimentarlo resta comunque una nostra scelta e nello specifico una scelta di grande libertà.
Chi negozia alimentando il dubbio genera un ampio ventaglio di prospettive diversificate e di opportunità di scambio.
Possiamo pertanto provare, accanto a questa lettura negativa dell’esercizio al dubbio, a farne un’altra e a vedere il dubbio come viatico di opportunità che possono nascere solo dal confronto, dalla riflessione pacatamente condivisa e dalla pratica dell’ascolto, a cui faceva ben più autorevole riferimento il Cardinale Martini.