I vantaggi di una certificazione delle competenze soft
Una certificazione seria delle competenze soft aiuterebbe aziende, professionisti e mercato.
Una pubblicità di una banca (Widiba) richiama la nostra attenzione sull’importanza della certificazione delle professionalità.
Un tema che suscita come sempre nel nostro Paese dibattiti animosi, che hanno solo l’effetto di generare confusione e far perdere di vista la vera sostanza.
Debite premesse
Facciamo alcune premesse, per mettere in pace il cuore di tutti.
Prima: la certificazione, come un titolo rilasciato dopo degli studi o un assessment, non è un dogma infallibile. Soprattutto, non è uno strumento che da solo può garantire il possesso delle conoscenze e competenze necessarie per assolvere un lavoro.
Seconda: è verissimo e incontrovertibile che la correttezza e la serietà del processo di certificazione spesso sono viziati da meccanismi di opportunismo economico e clientelare, e non solo. Nel nostro Paese come in molti altri.
Terza: sono le regole del mercato a disciplinare l’accesso alle prestazioni professionali.
Al netto delle professioni c.d. “albizzate”, argomento a parte e che qui non si vuole affrontare, il fulcro di questa riflessione è la presenza sul mercato di milioni di professionisti dei più svariati settori che non hanno riconoscimento alcuno. Dal responsabile della compliance al consulente del lavoro, dall’omeopata al responsabile acquisti, dal formatore al responsabile dell’organizzazione di una azienda.
Autoreferenzialità, costi, mercato
Che cosa vuol dire? Tre cose.
- Autoreferenzialità: scrivo di essere esperto di compliance perché magari (o magari no) me ne occupo da dieci anni.
Scrivo che sono un esperto nel comunicare o nel negoziare perché sono direttore commerciale… e come potrei non esserlo?! Non importa se non so spiegare che risultati ho raggiunto e soprattutto come li ho conseguiti.
In assenza di parametri oggettivi di valutazione vale tutto e il contrario di tutto. - Costi: l’azienda assume il presunto portatore di competenza o il privato si avvale di tal consulente. Ma come si può veramente accertare l’effettiva capacità nello svolgere il compito assegnato? Solo facendolo lavorare. E scoprendo con costi spesso altissimi che tale competenza non esiste.
- Mercato del lavoro: l’eccesso di manodopera non qualificata deprezza il mercato, che tenderà al ribasso e alla svendita delle “presunte” competenze.
La cura definitiva non esiste
Ora, sia chiaro che non ci sono cure definitive, ma solo strumenti che aiutano a prevenire la malattia. Meglio di niente.
Prendiamo il caso del vino: berrò quello che mi piace di più. Punto fine e basta. Tuttavia, se so che quel vino ha passato anche dei controlli non solo del produttore, ma anche di un soggetto terzo che ha garantito l’origine della materia prima utilizzata e la salubrità del processo produttivo, lo preferirò.
Le competenze tecniche sono facili da certificare: devi provare il tuo livello di inglese, fai l’esame e il risultato è oggettivo.
Le competenze comportamentali, altrettanto importanti, necessitano di un riconoscimento e di uscire da quel carattere di autoreferenzialità che le caratterizza più di altre.
Insomma, quando si tratta della conoscenza della lingua inglese o del possesso di conoscenze informatiche, vogliamo un certificato. Fidarsi è bene… non fidarsi è meglio. E magari senza neanche poi accertarsi della bontà dell’ente che l’ha rilasciato. Invece, quando si tratta di conoscenze comportamentali va bene qualunque cosa ci dicano. Salvo poi scoprire tardivamente che mancano o non sono all’altezza del ruolo.
Il valore di una prima certificazione
Una certificazione seria delle competenze soft aiuterebbe a:
- ridurre i costi per le aziende;
- rendere le aziende più competitive grazie a personale più qualificato;
- rendere il mercato del lavoro più affidabile.
La difficoltà in cosa risiede? Nel codificare un set di capacità necessarie per definire la competenza. Che cosa rende un negoziatore capace? Che cosa rende tale un comunicatore efficace? E così via.
Cuore in pace: si possono codificare. Non saranno regole esaustive, ma sono sufficienti per individuare dei parametri di valutazione.
Il secondo passo, scritte le regole, è ricorrere a un serio meccanismo di certificazione da parte di terzi.
Tutto questo ci metterebbe al passo con l’Europa e farebbe di noi un Paese un po’ più propenso alla meritocrazia.