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Vi ricordate il “Decreto Dignità?” I primi effetti della manovra nel testo modificato dalla Legge di conversione

Vi ricordate il “Decreto Dignità?” I primi effetti della manovra nel testo modificato dalla Legge di conversione

Di Patrizia D'Ercole

Ci eravamo lasciati a luglio interrogandoci su quali sarebbero stati gli sviluppi del c.d. “Decreto Dignità” n. 87 del 12 luglio all’esito della sua conversione in legge con riferimento ai principali istituti che attengono al mondo del lavoro.

Ebbene, a distanza di ormai circa due mesi dall’entrata in vigore della Legge n. 96 del 9 agosto 2018, pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’11 agosto scorso, sembra possibile trarre già un primo bilancio.
La Legge di conversione ha anzitutto chiarito che, in caso di stipulazione di contratti a tempo determinato di durata superiore a dodici mesi in assenza delle relative condizioni di legittimità come introdotte dal “Decreto Dignità” (ossia in mancanza dell’indicazione delle necessarie causali in caso di contratto di durata iniziale superiore ai 12 mesi, ovvero in caso di proroga o di rinnovo che determinino uno sforamento di tale limite di durata), il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato sin dalla data di superamento del termine di dodici mesi.

Tale previsione conferma il meccanismo di conversione automatica già noto e non desta particolari problematiche sul piano applicativo.

Più difficile è invece la determinazione di ciò che sia legittimo o meno fare nel periodo sino al prossimo 31 ottobre, atteso che la Legge di conversione ha introdotto un periodo transitorio che, anziché semplificare o agevolare le decisioni degli operatori, ha generato parecchia confusione, specialmente nella fase di prima applicazione.

Sostanzialmente, infatti, per effetto della Legge n. 96/2018, convivono oggi e fino al prossimo 31 ottobre quattro diversi regimi che, sulla base delle date di stipula, scadenza, proroghe o rinnovi, possono essere così sintetizzati.

  • il primo di questi regimi trova applicazione ai contratti a tempo determinato stipulati, prorogati o rinnovati prima del 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del “Decreto Dignità”), rispetto ai quali vale il precedente regime di cui al D.Lgs. n. 81/2015 così come disciplinato dal D.Lgs. n. 81/2015 attuativo del Jobs Act (durata massima di 36 mesi, nessun obbligo di causale e numero massimo di 5 proroghe);
  • il secondo regime trova applicazione con riferimento ai contratti a tempo determinato, alle proroghe ed ai rinnovi stipulati nel periodo tra il 14 luglio 2018 e l’11 agosto 2018 (data di entrata in vigore della Legge di conversione), rispetto ai quali valgono le nuove regole introdotte dal Decreto Dignità nella versione del D.L. n. 87/2018 (ossia ante conversione);
  • il terzo regime trova applicazione con riferimento alle proroghe ed ai rinnovi stipulati nel periodo compreso tra il giorno di entrata in vigore della legge di conversione e il 31 ottobre 2018, rispetto ai quali, in virtù del particolare regime transitorio introdotto dalla Legge di conversione stessa, è applicabile la previgente disciplina di cui al D.Lgs. n. 81/2015;
  • infine, il quarto regime trova applicazione con riferimento ai contratti a tempo determinato, ai rinnovi ed alle proroghe successive al 31 ottobre 2018, rispetto ai quali dovrà osservarsi definitivamente la normativa prevista dal Decreto Dignità come modificato dalla Legge di conversione.

Ciò che emerge inconfutabilmente sin da ora dai dati a disposizione è, invece, una complessiva flessione dell’occupazione stabile, soprattutto tra le fasce di lavoratori più “deboli”, ossia donne e giovani, sicché se il lavoro a tempo determinato presenta indubbi irrigidimenti, la situazione non migliora con riferimento ai lavoratori a tempo indeterminato.

In tale contesto, vale la pena di chiedersi se la soluzione a queste tematiche possa effettivamente essere una normativa che, di fatto, irrigidisce il mercato del lavoro: non pare, infatti che le altre innovazioni apportate dalla Legge di conversione possano sopperire alle reali esigenze di flessibilità per cui è previsto il lavoro temporaneo o l’appetibilità dell’assunzione a tempo indeterminato.

Sotto il primo profilo, ad esempio, la reintroduzione dei voucher, avvenuta dopo un aspro dibattito che ha coinvolto imprenditori e sindacati (“Prestazione Occasionale PrestO”), presenta dei forti limiti dati dalla possibilità di utilizzare tale strumento solamente in alcuni settori (agricolo, enti locali, alberghi e strutture ricettive aventi fino a 8 dipendenti), sicché non è idonea a risolvere il tema della flessibilità del lavoro.

Dall’altro punto di vista, analogamente, l’innalzamento del tetto degli indennizzi previsti in caso di licenziamento illegittimo in favore dei lavoratori assunti in forza del c.d. “contratto a tutele crescenti”, ossia dopo il 7 marzo 2015, disposto dal “Decreto Dignità” e confermato dalla Legge di conversione (che hanno aumentato la forbice risarcitoria 4/24 mensilità a 6/36 mensilità) non sembra favorire un incremento della stabilizzazione del lavoro. Ciò, tanto più alla luce della recente sentenza della Consulta che, solo qualche giorno fa, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma del Decreto sul contratto a tutele crescenti che graduava la concreta determinazione delle mensilità spettanti a titolo indennitario unicamente sulla base del criterio dell’anzianità di servizio.

Infatti, a fronte dell’innalzamento del numero di mensilità previsto e della pronuncia della Corte Costituzionale sopra citati, un lavoratore neo assunto che sia stato successivamente licenziato potrebbe, in linea di principio, ottenere – se non la reintegrazione in servizio – un indennizzo fino a 36 mesi di retribuzione.

Ci si chiede, pertanto, se la soluzione a problemi ormai endemici non possa e debba essere diversa, ad esempio fornendo un quadro legislativo chiaro e di cui siano certe le conseguenze, nonché supportando il welfare con misure mirate, realizzabili ed efficaci.

Lunedì, 08 Ottobre 2018. Postato in Risorse umane, Soft Skill

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