E-commerce b2c, un’opportunita’ da sfruttare. Ma occorre conoscere le regole del gioco
Oltre una certa soglia di vendite, le aziende italiane sono tenute al versamento dell’IVA nel Paese estero di destinazione del prodotto venduto.
Articolo a firma di:
- Paola Casoni - Director Finance & Innovation Business Line di Ayming
- Angelo Sperandei - Senior Consultant Finance & Innovation Business Line di Ayming
Un esigente attore si sta presentando alle porte delle aziende, anche tradizionali: il consumatore digitale che porta con sé propensione all’acquisto, competenza tecnologica, aspettative di experience molto elevate e, non da ultimo, nuovo fatturato. Grazie a questa nuova percezione dello shopping, l’acquisto on line si sta espandendo con numeri che iniziano a essere interessanti anche per il nostro Paese (rimasto sin dagli albori di questo mercato un po’ arretrato). Oggi, l’e-commerce dedicato al pubblico consumer, in Italia, crea un giro d’affari pari a 20 miliardi di euro (dato 2016, fonte Osservatorio E-Commerce B2c Politecnico di Milano-Netcomm). 16 mila sono le aziende impegnate nel commercio elettronico (saranno 50 mila nel 2025). Un italiano su due è già connesso a Internet, da più device. Insomma, da questo “semino” ormai piantato ci si attende la crescita di una pianta rigogliosa.
L’e-commerce è, inoltre, lo strumento ideale per internazionalizzare il business e vendere prodotti e servizi italiani all’estero: proprio per questo, l’Export (ossia il valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri) è cresciuto nel 2016 del 17%, superando i 3,4 miliardi di euro. L’abbigliamento, in particolare, vale il 36% delle esportazioni on line ed effettua il 42% delle vendite fuori dai confini italiani.
Opportunità anche per i “piccoli”
Sino a qualche anno fa, l’idea di possedere un canale digitale per la vendita era appannaggio solo di grandi aziende o di brand importanti (specie nel segmento Fashion): negli ultimi anni invece anche le aziende che raggiungono un fatturato sui 10 milioni di euro hanno iniziato ad attrezzarsi per la vendita on line. I motivi sono semplici da intuire: impostare l’apertura di uno store fisico, di proprietà o in franchising, in Italia o anche in un altro Paese, comporta una serie di costi importanti. Oggi molte realtà preferiscono mantenere aperti “flagship store” o corner in punti strategici di città rilevanti, e poi scelgono di raggiungere il consumatore digitale di cui sopra in modo virtuale, fornendogli tra l’altro un canale aperto 24 ore al giorno, sette giorni su sette, facilmente raggiungibile, in grado di garantire tempi rapidi di spedizione, nonché la possibilità del reso.
Le modalità
Nel momento in cui un brand italiano - per esempio del segmento Fashion, che sappiamo essere uno dei più appealing per il consumatore straniero - decide di posizionarsi con la vendita on line in modo efficace, può farlo in vari modi: può costruirsi un canale “personale”, dunque vendere direttamente attraverso una propria piattaforma, curando direttamente la logistica, oppure affidarsi a partner esterni (siti di e-commerce mono o multi-brand) ai quali, a seconda del livello di partnership, delegare tutte le attività complementari alla vendita.
Nello scegliere tra le varie modalità di approccio al canale e-commerce, l’azienda dovrà tenere conto di almeno due aspetti fondamentali: il primo fiscale, il secondo di immagine.
Per quanto riguarda l’aspetto fiscale è molto importante che l’azienda italiana, che decide di vendere attraverso una propria piattaforma sul mercato europeo, sia pronta a gestire il processo di commercializzazione del prodotto dal mercato italiano a quello estero e, soprattutto, sia in grado di adeguarsi alla compliance dei diversi Paesi europei a cui si rivolge. Allo stesso tempo avrà un vantaggio relativo alla propria brand awareness. Infatti operare con una propria piattaforma aiuta e preservare e mantenere, nei confronti del cliente finale, la forza del proprio brand, punto importante specie nell’ambito del lusso, dove anche solo il fatto di inviare al cliente la fattura e il packaging con il proprio brand diventa un fattore determinante.
Affidandosi invece a una piattaforma esterna, specialmente se multi-brand, tutti gli adempimenti fiscali potrebbero essere a carico del partner e-commerce. In questo caso sarà il partner che comprerà dall’azienda italiana il bene, che verrà poi venduto a livello comunitario, a dover controllare tutti i processi di adeguamento alle normative vigenti. In questo caso però l’azienda perde parte del suo processo di brand awareness, in quanto la fattura e il packaging che riceverà il cliente porterà il brand della piattaforma di e-commerce, e non del prodotto acquistato.
In entrambe le situazioni, le aziende non devono perdere di vista il loro obiettivo ultimo: accontentare un consumatore – indipendentemente dalla sua collocazione geografica – che si attende una tempistica veloce e un servizio preciso.
Per completare l’esposizione delle possibilità che le aziende hanno, per ben posizionarsi nella vendita on line, possiamo anche citare l’esperienza di boutique presenti fisicamente sul territorio, che decidono di aderire a un canale di e-shopping, all’interno del quale il consumatore può acquistare i prodotti dei diversi brand presenti negli store.
Quale che sia la modalità scelta dalle aziende, il mix di fisico e virtuale è comunque destinato a permanere, perché il marketing sensoriale ed emozionale deve rimanere un’opportunità da lasciare al consumatore. Una “second choice” che egli, liberamente, può decidere di sfruttare (e che sfrutterà se, in fase di acquisto, vorrà sentire, toccare, annusare; che non sfrutterà, se il bene da comperare sarà “neutro” da un punto di vista emozionale).
Partita IVA all’estero: l’importanza della consulenza
Le aziende italiane, come anticipato, stanno cercando di attivare o sviluppare il canale e-commerce con un certo vigore, anche per colmare il gap che ci separa da altri Paesi europei, Nord Europa in primis. Come Ayming, stiamo notando questo sforzo e questo impegno da parte delle imprese, nonché una maggiore preparazione sul tema. Il supporto di un consulente diventa però essenziale nel momento in cui il fatturato di vendita attraverso il canale e-commerce supera le soglie stabilite nei Paesi esteri, ed è quindi necessario e obbligatorio adeguarsi a livello normativo agli adempimenti per il versamento dell’IVA (e non solo).
L’esperienza che l’azienda acquisisce con la vendita sul mercato italiano è preziosa, ma non sufficiente, perché il mercato globale ha regole e norme diverse e in continua evoluzione (e il discorso, si badi bene, vale per società di ogni dimensione, per le grandi e strutturate, ma anche per le piccole).
Un esempio: un’azienda, dati gli incoraggianti risultati ottenuti vendendo i prodotti on line in Italia, decide di aprire il proprio canale di vendita anche all’estero. La scelta risulta vincente e ben presto i manager si accorgono che, in diversi Paesi, viene superata la soglia di fatturato che prevede il versamento dell’IVA in loco, anziché nel Paese in cui l’azienda è stabilita. Peccato che non esista un’unica soglia cui fare riferimento - suggerita in 100 mila euro di volumi dall’Unione Europea - dato che i singoli Paesi possono modificare il valore anche a 35 mila euro. Come seguire le normative dei diversi Paesi? Come effettuare il versamento locale? Come le dichiarazioni di IVA periodiche (trimestrali, mensili, annuali…). E ancora: se fosse conveniente versare in un certo Paese l’IVA, essendo l’aliquota più vantaggiosa? O se addirittura si scoprisse che certe tipologie di prodotto, in un certo Paese, non sono soggette a IVA? In breve: il pagamento dell’IVA all’estero, di per sé, non è di estrema complessità. Complesso diventa gestire in modo strategico tutte le pratiche che attorno a questo adempimento si innestano, e che sono moltiplicate per i numeri di Paesi in cui l’azienda vende con il canale e-commerce. Da qui il ruolo del consulente che possiede il know-how necessario per ottenere la partita IVA in tempi brevi e che si occupa di tutto il Vat Management (apertura della posizione, dichiarazioni IVA e pagamento dell’IVA locale, eventuali Intrastat, ecc.); che è di supporto anche ai commercialisti italiani, che spesso si trovano in difficoltà nel seguire normative differenti per tutti i Paesi in cui l’e-commerce è attivato.
Strategico è inoltre avere un unico interlocutore, anche “geografico”, che si possa occupare degli adempimenti che possono essere assolti dall’Italia e di quelli che devono essere svolti direttamente presso il Paese in cui è necessario versare l’IVA (se la normativa per esempio richiede che il Tax Advisor sia residente) e delle eventuali criticità che si possono presentare, come i chiarimenti richiesti dalle amministrazioni locali e i mini audit. Grazie a questo approccio le aziende vengono “liberate” dalle preoccupazioni burocratiche e possono concentrarsi sul business e sul loro “consumatore finale”.