Prevenire è meglio che curare: quando un’attività di advisory aiuta le aziende a prevenire i rischi in ambito fiscale
Articolo a firma di: Angelo Sperandei, Compliance&Advisory Manager di Ayming
Da quanti anni aspettiamo il famoso ritorno dell’economia ai livelli pre-crisi? A volte arrivano segnali che sembrano andare nella giusta direzione ma, di fatto, molte aziende continuano a essere in affanno e sono ancora molte le realtà costrette ad affrontare le difficoltà di una ripresa che stenta a diventare strutturale. Non sarebbe quindi meglio affermare che l’economia attuale è, e probabilmente sarà, quella definitiva, nella quale le aziende dovranno abituarsi a operare? Una realtà che vede le aziende impegnate a generare un business sempre più consapevole, che non può prescindere dal cercare aree di saving e che aiuti a ripristinare quel cash flow ottimale su cui un’impresa deve poter contare.
Ecco allora che in un mercato complesso e ormai globale, attività di ottimizzazione costi e saving diventano leve necessarie per essere competitivi. Ne consegue che anche figure consulenziali e di advisory, come quelle della nostra azienda, acquistano sempre più rilievo. Senza nasconderci dietro a un dito ammettiamo subito che, soprattutto in passato, la figura del consulente che entra in azienda e studia la migliore strategia per ottimizzare i costi era vissuta più come un male necessario che come un fattore strategico.
Il consulente analizzava la situazione e stendeva una serie di azioni utili per riuscire a ottenere saving e risparmi, a volte con importanti ripercussioni sull’organizzazione interna. Azioni che il più delle volte l’azienda doveva implementare autonomamente, o che, se gestite da un consulente esterno, presentavano costi rilevanti.
La crisi che ha toccato il nostro mercato non ha però portato solo riscontri negativi. Gli imprenditori e i manager sono infatti diventati più consapevoli e informati e, di conseguenza, anche più esigenti e attenti alla “bontà” del servizio offerto dalle società di consulenza. I consulenti hanno compreso che rispondere alle richieste di un cliente significa anche portare risultati concreti e misurabili, addirittura legando al successo della propria attività la propria remunerazione.
Un bell'esempio, in tal senso, sono le attività di advisory in ambito fiscale, che spesso per le aziende possono significare sia un’azione di prevenzione di possibili rischi legati alla compliance, sia un tentativo (a volte purtroppo tardivo) di recupero di risorse economiche.
Analizziamo un caso concreto, gestito di recente: un’azienda manifatturiera, con più società appartenenti al gruppo dislocate in Europa, acquista, tramite una consociata, materiale da un fornitore in Germania, per poi inviarlo presso alle altre società europee del gruppo.
Il fornitore tedesco gestisce queste operazioni come delle normali cessioni intracomunitarie, nella piena convinzione, di entrambe le parti, che questa fosse la giusta procedura. Questa modalità di gestione si protrae per alcuni anni, fino a quando l’amministrazione tedesca (cinque anni dopo) effettua un audit presso il fornitore tedesco e lo costringe, per effetto dell’incoterms EXW concordato, ad applicare, e ovviamente versare, l’IVA tedesca, comprensiva di interessi.
Risultato? Le aziende europee appartenenti al Gruppo si ritrovano da un momento all’altro a dover recuperare, presso l’amministrazione tedesca, un credito IVA di quasi un milione di euro e cercano di farlo, singolarmente, attraverso la procedura prevista dall’VIII Direttiva CEE, come soggetti non residenti, non avendo mai aperto un’identificazione IVA locale nei propri paesi di riferimento.
Per più anni, l’amministrazione tedesca rigetta le richieste presentate dalle aziende coinvolte. Non comprendendo le ragioni dei ripetuti rigetti, la casa madre ci contatta e ci chiede di svolgere, in un primo momento, una verifica relativa alle motivazioni dei rigetti e poi, successivamente, alla correttezza sostanziale del processo, partendo ovviamente dai flussi effettuati.
Dalla nostra analisi emerge chiaramente che le richieste vengono rigettate perché non possono essere gestite come soggetto non residente. Una volta individuata la soluzione teorica, si è quindi proceduto a preparare tutta la documentazione per gestire retroattivamente le identificazioni ai fini IVA e, nel giro di 3 mesi, ottenere il rimborso totale dell’importo IVA.
Questa situazione si sarebbe ampiamente potuta prevenire attraverso un’attività di advisoring appropriata, gestendo da subito le operazioni correttamente, attraverso l’apertura delle necessarie identificazioni IVA. Questo avrebbe evitato all’azienda manifatturiera un eccessivo dispendio di risorse, economiche e umane, e di tempo, a tutto vantaggio del cash flow aziendale, derivante dal rimborso tempestivo dell’IVA.
Nonostante la globalizzazione abbia facilitato la sempre più ingente movimentazione di merci, dal lato fiscale la complessità rimane elevata, con notevoli specificità tra paese e paese. L’armonizzazione fiscale, anche a livello europeo, rimane per ora solo un sogno, come sa bene chi opera quotidianamente sui mercati internazionali.
Le aziende sono pertanto chiamate a valutare preventivamente le implicazioni fiscali delle proprie operazioni, perché attività che possono sembrare solo di carattere commerciale hanno invece quasi sempre anche un impatto fiscale, che ancora troppo spesso viene ignorato, anche in realtà mediamente strutturate.
Una modalità di consegna con la quale non si ha molta dimestichezza, l’apertura di un contratto di consignment stock in un nuovo Paese, il cambio del flusso logistico delle merci in importazione, sono tutte variabili che possono nascondere insidie, ma anche grandi opportunità. Affidarsi a chi, anche attraverso un network capillare, può valutare preliminarmente le conseguenze di natura fiscale, non può più essere considerato un inutile costo.
Quindi prevenire è meglio che curare? In ambito fiscale sicuramente sì, e l’advisoring può rappresentare la migliore prevenzione possibile.