Appalti innovativi: il nuovo possibile ruolo della PA a sostegno dell’innovazione
Articolo a firma di Giuseppe Mele, Manager Innovation AYMING
Promuovere ricerca, sviluppo e innovazione è una delle priorità strategiche dell’Unione Europea ai fini di favorire la crescita e la qualità dell’occupazione in tutti gli Stati membri e di garantire la competitività del sistema economico continentale. In aggiunta a strumenti ormai consolidati, come a esempio il Framework Programme o Horizon 2020, la Commissione ha assunto nel 2011 l’impegno di accantonare fondi da dedicare agli appalti pubblici, sempre in ottica di promozione dell’innovazione. A tal proposito in Horizon 2020 sono stati introdotti due differenti tipologie di strumenti innovativi per connettere bisogni pubblici e promozione dell’innovazione, i cosiddetti appalti innovativi.
Il primo strumento è il Pre-Commercial Procurement (PCP), mentre il secondo è il Public Procurement of Innovative solutions. Queste 2 misure sono state recepite anche a livello italiano all’interno del codice degli appalti. Il PCP è uno strumento che può essere utilizzato quando sul mercato non è ancora presente una soluzione innovativa che soddisfi le esigenze di un acquirente pubblico, che ha quindi necessità di sviluppare un nuovo e innovativo prodotto/servizio capace di rispondere a un bisogno specifico. (https://appaltinnovativi.gov.it/)
Questa tipologia di appalto si caratterizza per alcuni aspetti che lo rendono particolarmente interessante. In primo luogo, ridisegna il ruolo della pubblica amministrazione dandole la possibilità di essere parte attiva dell’innovazione del paese e creando, di fatto un modello pubblico di open innovation. Inoltre, potrebbe consentire alle istituzioni pubbliche di accelerare il processo di trasferimento tecnologico mitigando il rischio insito nell’attività di ricerca e contribuendo a ridurre il gap tra laboratorio e mercato.
La seconda tipologia di appalto è Il Public Procurement of Innovative solutions (PPI), che si applica quando il settore pubblico acquista, a un prezzo concorrenziale, delle soluzioni innovative che sono già state sviluppate ma che non si sono ancora affermate sul mercato su ampia scala.
Il PPI è quindi utile per la diffusione sul mercato di soluzioni innovative non ancora sufficientemente mature al fine di rispondere a specifiche sfide sociali. Non trascurabili sono inoltre gli Spill over sulla spinta modernizzatrice verso la pubblica amministrazione e sullo sviluppo di nuove aziende altamente tecnologiche favorendo così la competitività generale del sistema economico e la creazione di nuovi posti di lavoro qualificati.
L’applicazione del Public Procurement of Innovative solutions si compone di tre momenti principali: Individuazione di un singolo o di un gruppo di acquirenti pubblici che possano incentivare il provider di innovazione alla produzione di un determinato prodotto o servizio su larga scala; espressione della volontà dell’ente pubblico di voler acquistare i prodotti, se il provider di innovazione può assicurare di introdurli sul mercato a prezzi competitivi e in tempi ben stabiliti; effettivo appalto pubblico delle soluzioni innovative.
Alla luce delle caratteristiche di questi strumenti, risulta chiaro come Pre-Commercial Procurement e Public Procurement of Innovative solutions sono complementari: il PPI può infatti consentire la commercializzazione di un prodotto o servizio innovativo sviluppato grazie al PPP.
L’Italia, nonostante questi appalti siano ancora poco utilizzati a livello europeo, è prima nella classifica dei paesi membri dell’Unione per l’utilizzo. Nel 2017, secondo dati dell’AGID - Agenzia per l’Italia Digitale - l’Italia ha utilizzato gli appalti pubblici per circa 53 M€ coinvolgendo oltre 100 operatori, per lo più imprese ma anche università e centri di ricerca, distribuiti su circa 25 differenti tematiche.
Questi dati sono ancora più interessanti se si pensa che, grazie a questi finanziamenti pubblici, sono stati affrontati temi di notevole impatto sociale come autismo, rischi ambientali e qualità alimentare. Il che conferma che, se adeguatamente coinvolta, l’amministrazione pubblica può stimolare l’innovazione e la creazione di soluzioni che rispondono ai bisogni pubblici migliorando la capacità di risposta delle istituzioni a sfide sociali rilevanti.
Questi strumenti potrebbero quindi essere delle importanti leve per aprire la strada a nuovi mercati per lo sviluppo e la commercializzazione di beni e servizi anche se, soprattutto a livello italiano, ci sono alcune difficoltà che li rendono poco utilizzati. Al primo posto c’è sicuramente la mancanza di fondi per spingerne l’utilizzo. L’Italia era partita molto bene con numerosi progetti presentati e finanziati, ma ai 100 milioni di € stanziati al momento dell’introduzione non sono state fatte aggiunte, rendendo così l’importo insufficiente per coprire tutto il settennato 2014-2020.
Un’ulteriore criticità è legata alla difficoltà di comprendere come si possa rispondere a un bisogno pubblico attraverso soluzioni non tradizionali e altamente innovative. Ancora, un ultimo limite a una maggiore applicazione di questi appalti è legato alla prassi degli appalti al massimo ribasso. Questi strumenti di finanziamento funzionano invece con una logica diversa orientata a soddisfare bisogni tecnologici scientifici di ampio respiro più che esigenze di risparmio di breve periodo con l’obiettivo di garantire un trade off positivo nel medio lungo termine grazie a servizi pubblici migliori e più efficienti.
Concludendo, se si vuole stimolare l’economia e tornare a crescere come paese ed essere più innovativi rispetto al resto dell’unione, la classe politica italiana dovrebbe prendere maggiore consapevolezza delle opportunità che possono generare queste forme di partenariato pubblico-privato, soprattutto in settori particolarmente strategici come ad esempio salute, energia e trasporti. Non è quindi possibile rispondere alle sfide della società di oggi senza competenza, innovazione e collaborazione tra tutti gli operatori istituzionali e non coinvolti nella crescita economica del paese.