Le emozioni in azienda: da "nemiche" ad alleate
Le persone sono fatte e vivono di emozioni, prima ancora che di razionalità.
A tal proposito mi viene sempre in mente la frase di Dale Carnegie che affermava che noi, quando interagiamo con gli altri, dimentichiamo spesso che abbiamo a che fare con creature fatte di emozioni e non di logica.
Questo ci dovrebbe aiutare molto a comprendere perché sovente il nostro processo comunicativo è così fallace o insoddisfacente: non ci rendiamo conto, o almeno non a sufficienza, che stiamo “parlando alla testa di una persona” mentre lei ci sta “ascoltando col cuore”.
La nostra cultura ha relegato e posto in un angolo il mondo delle emozioni sul posto di lavoro, considerando, erroneamente, che gli aspetti emozionali non dovessero trovare spazio nelle relazioni interpersonali e nelle organizzazioni aziendali per evitare di influenzarle.
Così ansia, paura, gioia, tristezza, felicità non potevano essere espresse, o forse neanche provate, perché distoniche rispetto al contesto aziendale e professionale.
Ma le emozioni sorgono e si manifestano indipendentemente dalla nostra volontà.
Pertanto il punto non è quello di evitare di avere emozioni o non manifestarle, ma piuttosto come gestirle, soprattutto all’interno di un’organizzazione e in particolare in un ambiente lavorativo.
La crescita emozionale
La “sfida” consiste quindi nel capire come trasformare un’emozione, in genere negativa, in qualcosa di utile da usare sul luogo di lavoro.
Pensiamo ad esempio all’ansia: se raggiuge livelli eccessivi in genere si trasforma in stress che è una condizione prevalentemente negativa. Ma l’ansia, se opportunamente riconosciuta, contenuta e gestita, può essere un’ottima “amica” per ricordarci cosa dobbiamo fare “qui e ora”, aiutandoci a focalizzarci sul presente senza perdite di tempo o posticipazioni pericolose di attività e impegni.
Possiamo individuare 4 momenti relativi alla crescita emozionale e ogni volta che proviamo un’emozione dovremmo:
- Riconoscerla
- Accettarla
- Comprenderla
- Trasformarla
Se alleniamo la mostra mente e la nostra “pancia” a questo tipo di approccio alle emozioni, i risultati sono davvero sorprendenti, sia a livello organizzativo che individuale.
Vi invito a riflettere su questi aspetti nella consapevolezza che le emozioni sono forse la più grande risorsa che abbiamo a disposizione, anche sul lavoro.
Le emozioni positive nella vita e sul lavoro
Le emozioni positive possono giocare un ruolo molto importante da un punto di vista comunicativo e per la soluzione dei problemi. Le emozioni positive, così come asserito dalla psicologia positiva e rilevato dalle neuroscienze, contribuiscono a favorire una modalità di interazione tra le persone basata più su ciò che unisce piuttosto che su ciò che divide e separa. Le emozioni positive espandono i confini e la sensibilità della nostra identità individuale, rendendola più simile ad una membrana permeabile che a muro impenetrabile: i mutamenti generati da esse nel nostro modo di pensare e di comportarci ci portano a guardare gli altri con occhi nuovi e diversi e li percepiamo più simili a noi.
Studi e ricerche in questo campo hanno dimostrato che le emozioni positive spostano in modo naturale il nostro pensiero e il nostro atteggiamento mentale da un “io” ad un “noi”.
Le emozioni positive generano nelle persone un senso ed un sentimento di “inclusività” nei confronti degli altri.
Il mio pensiero è focalizzato su di me Il mio pensiero è focalizzato su di noi
Questo cambiamento nel modo di pensare e di percepire gli altri avviene a due livelli: quello interpersonale e quello intergruppo.
Studi e sperimentazioni hanno dimostrato che se una persona, mentre parla di sé e dei propri rapporti con gli altri, viene “influenzata” da uno stato emotivo positivo che ne alza il livello di felicità, incrementa l’utilizzo del termine “noi” e riduce quello dell‘ “io” e i riferimenti ad esso.
Risultati analoghi vengono registrati anche a livello di gruppo: quando si aumentano gli effetti positivi delle emozioni all’interno di un gruppo di persone, queste sono più disposte a pensare in termini di inclusività nei confronti degli altri gruppi riducendo la tendenza a pensare in termini di divisione e separazione (ad esempio le persone felici sono tendenzialmente meno razziste di quelle infelici).
In generale si può affermare che chi vive emozioni e stati d’animo positivi tende ad avere maggiore spirito di interconnessione con gli altri, a vedere più chiaramente e facilmente i collegamenti tra persone e cose e ad espandere i propri confini delle categorie con cui si “classificano” gli altri.
Diventa allora facilmente comprensibile come le persone dotate di intelligenza emotiva, ovvero di quella capacità di riconoscere le proprie e le altrui emozioni in maniera da poter organizzare e dirigere di conseguenza i nostri comportamenti e più in generale le nostre relazioni con gli altri e la nostra vita, siano una risorsa preziosa nelle organizzazioni.
Sotto questo aspetto l’intelligenza emotiva può essere senz’altro considerata una competenza.
Da un punto di vista personale, da come sappiamo usare questo tipo di intelligenza può dipendere molto la probabilità di riuscire e avere successo nel lavoro e nella vita in generale.