La redazione del business plan: gli errori più comuni da evitare.
Articolo scritto da Corrado Mariano
Ogni realtà imprenditoriale nasce da una business idea: un concetto di impresa che esprime il mercato in cui l’azienda intende posizionarsi, la tipologia e strutturazione di prodotto/servizio che vuole immettere sul mercato e la struttura aziendale che l’azienda intende implementare per poter operare. Il problema che la maggioranza delle neonate realtà aziendali affronta è che i rischi associati alla nuova realtà imprenditoriale non sono adeguatamente valutati in sede di pianificazione, con il conseguente fallimento dell’impresa: non a caso, oltre la metà delle nuove realtà fallisce nel primo anno di vita. Per cercare di valutare ex ante la business idea e porre basi solide affinché la stessa possa essere implementata in un contesto adeguato, si ricorre alla redazione, discussione e validazione di un business plan.
Questo documento ha dei destinatari sia esterni che interni all’azienda: nella prima categoria rientrano gli istituti di credito interpellati per l’elargizione di prestiti, le amministrazioni pubbliche nel caso di finanziamenti tramite bandi, gli investitori privati o possibili altre aziende interessate a fusioni/acquisizioni; nella seconda categoria rientra invece il management aziendale: il business plan deve essere inteso come un documento di pianificazione e controllo che accompagna la realtà imprenditoriale nel medio periodo e che permette di verificare che l’azienda si stia evolvendo secondo quanto pianificato. Affinché il business plan raggiunga le proprie finalità, valide sia nel caso di destinatari interni che esterni, è fondamentale evitare, in fase di redazione del documento, di commettere alcuni errori metodologici che possono compromettere una buona comunicazione e realizzazione dell’ idea imprenditoriali; conoscere in anticipo gli errori è il primo fondamentale passo per evitare di commetterli!
La struttura di un business plan si compone tipicamente di due sezioni: una prima parte qualitativa ed una seconda quantitativa. Nella prima si procede a descrivere l’organizzazione dell’azienda, ad analizzare la concorrenza ed il mercato, a presentare la propria offerta ed il piano di marketing; nella seconda si procede a tradurre numericamente tutto quanto descritto nella prima parte nei prospetti previsionali economico/finanziari. Un primo rischio/errore che spesso si commette è di non considerare le due parti come un unicum, ma di presentarle, in alcune aree, “slegate” l’una dall’altra. Ogni elemento economico-patrimoniale deve trovare giustificazione/fondamento/fonte nella parte qualitativa. L’origine di questa criticità/errore risiede nel fatto che molto spesso chi redige la prima parte non ha conoscenze tecniche necessarie a completare una corretta prospettiva economico-finanziaria: nel caso in cui le due parti siano redatte da soggetti diverse, è quindi necessario un lavoro di squadra atto a garantire la necessaria integrazione tra sezione qualitativa e quantitativa. In altri termini, chi legge il business plan, deve essere potenzialmente in grado di muoversi in maniera iterativa da ogni sezione della parte descrittiva alla sezione economico finanziaria . Si veda tavola 1.
Tavola 1. Le due sezioni del business plan.
Non tutti i destinatari potenziali del business plan leggeranno integralmente il documento: per questo motivo è molto utile, una volta conclusa la redazione dello stesso, redigere un riassunto di poche pagine da presentare come introduzione del progetto (executive summary). Un secondo errore potenziale consiste nel non dedicare abbastanza tempo alla redazione dell’executive summary e nel sottovalutarne l’importanza: soprattutto nel caso di destinatari esterni, un riassunto curato ed accattivante può attrarre verso una attenta lettura del vero business plan; al contrario, una sezione riassuntiva non adeguatamente redatta, può compromettere l’interesse di potenziali lettori/analisti esterni.
In terzo luogo, si deve evitare di classificare come elemento secondario la sezione dedicata all’analisi della concorrenza e questo per due ordini di motivi: innanzitutto l’analisi della concorrenza si basa su dati certi (bilanci pubblicati, analisi o ricerche di mercato) e presentare dati certi e verificabili come base per le assunzioni su cui fondare il business oggetto della pianificazione trasmette una certa solidità a tutto l’impianto di simulazione; ad esempio, impostare il piano di investimenti sulla base di una realtà già sul mercato e dalle dimensioni simile a quella in oggetto è un modo solido per giustificare gli investimenti richiesti. In secondo luogo, è importante redigere il business plan con occhi il più possibile obiettivi: i prodotti o servizi figli della business idea si dovranno confrontare col mercato e con dei competitor: perché la clientela dovrebbe preferire e scegliere quelli del nuovo business? Attraverso una analisi della concorrenza mirata è possibile fare emergere quel “quid” che può differenziare i nuovi prodotti da quelli già sul mercato.
Spostandoci invece nella sezione del personale, un errore da non commettere consiste nel mostrare solo i profili professionali “rilevanti”: è infatti fondamentale presentare le professionalità coinvolte e qualora vi sia poca esperienza nel campo (soprattutto nel caso di start up) è importante non nascondere la criticità della scarsa esperienza, ma evidenziare le cosiddette soft skills (capacità personali, caratteriali, formazione ) del futuro management predisponendo un piano atto a sopperire ad eventuali lacune iniziali (eventuali supporto di consulenti esterni), evitando tuttavia di ricadere nel primo errore sopra presentato: nel caso si citino consulenze esterne, questi costi devono essere riportati nella parte quantitativa.
Lo scopo del business plan è quello di valutare la fattibilità dell’idea imprenditoriale, anticipare i rischi potenziali per evitare un fallimento: considerando tuttavia come una delle finalità del business plan sia quella di accedere a finanziamenti esterni, vi è la tentazione di non evidenziare in maniera adeguata/obiettiva i rischi potenziali. Questo errore è assolutamente da evitare in quanto solo anticipando adeguatamente i rischi è possibile implementare a livello organizzativo tutte le possibile azioni volte a mitigare gli stessi. Inoltre si consideri che il business plan, come sopra evidenziato, ha destinatari esterni ma anche interni e questi ultimi potranno gestirli solo se propriamente presentati ed analizzati. I rischi potenziali devono quindi essere presentati in maniera obiettiva attraverso classici strumenti di project management quali la SWOT analisys e la matrice probailità/danno. Con la prima è possibile metter in evidenza i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di una determinata azione. Identificati i rischi/minacce, è possibile utilizzare il secondo strumento per dare una priorità ai rischi identificati, procedendo in questo modo:
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associare (sulla base di una predeterminata scala) ad ogni rischio la probabilità (P) che questo rischio di concretizzi;
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associare (sulla base di una predeterminata scala) ad ogni rischio il danno potenziale (D) che scaturirebbe al suo manifestarsi ;
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calcolare la stima del rischio data da P * D per ogni rischio
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ordinare i rischi in base alla stima del rischio: valori più elevati identificano rischi più elevati.
Tavola 2. I due strumenti per la gestione dei rischi.
Le criticità e potenziali lacune fino ad ora presentate erano considerate, fino a qualche anno fa, le principali: le ultime due di seguito introdotte sono invece ascrivibili allo sviluppo tecnologico tipico degli ultimi anni. Innanzitutto, a prescindere dal settore in cui si andrà ad operare, è ormai imprescindibile dedicare una sezione della pianificazione a come l’idea imprenditoriale si adatterà alle nuove tecnologie ed alla rapida evoluzione delle stesse; l’evoluzione tecnologica sta subendo una velocità impensabile rispetto ad un decennio fa: come l’azienda si pone in rapporto a questa evoluzione? Come intende dotarsi di strumenti atti a mantenerla sempre aggiornata ed in grado di competere? Ad esempio, qualora il canale e-commerce rientri nella strategia commerciale, quali strumenti organizzativi/quali competenze dotarsi per mantenere il canale allineato alla rapida evoluzione tecnologica?
Infine, anche in conseguenza di quanto appena descritto, nel business plan non dovrebbe ormai mancare una sezione dedicata al risck management adattato alle nuove tecnologie: i rischi legati all’utilizzo delle nuove tecnologie ed il leverage dei social network espongono la business idea a maggiori rischi rispetto al passato: come affrontarli? Come evitare che nuove leve di business si ritorcano contro da un punto di vista di protezione dell’idea o di attacchi alla reputation aziendale?
In conclusione, si è mostrato come gli errori potenziali in fase di redazione del business plan siano molteplici ed in costante evoluzione: non a caso è il mercato stesso ad essere in evoluzione ed il business plan, se propriamente inteso come documento “vivo” e dinamico, non può che riflettere nel suo svolgimento la stessa vitalità e dinamicità.